La malattia tromboembolica venosa (TEV) ha una incidenza annuale di circa 100 nuovi casi su 100.000 abitanti; la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP) sono le manifestazioni cliniche di tale processo patologico la cui incidenza aumenta con l’età ed è condizionata sia da fattori genetici che da fattori ambientali ma, soprattutto, dall’interazione tra i primi ed i secondi.
Dal punto di vista del management diagnostico e terapeutico degli eventi tromboembolici è necessario considerare che il rischio di recidiva di un evento tromboembolico è particolarmente elevato, in quanto il rischio di un secondo evento a 10 anni è di circa il 30%.
La terapia anticoagulante riduce il rischio di recidiva di TEV per tutta la durata del trattamento ma dopo la sospensione nel lungo periodo il rischio di recidiva è identico, qualsiasi sia stata la durata della terapia.
La terapia anticoagulante nei pazienti affetti da TEV prevede una fase iniziale (3-21 giorni) che può variare a seconda del farmaco impiegato: eparina non frazionata (ENF) o eparina a basso peso molecolare (EBPM) embricata con farmaci orali anti vitamina K (AVK) o con anticoagulanti orali diretti (DOAC) come dabigratan o edoxaban, oppure direttamente con i DOAC rivaroxaban e apixaban senza la iniziale induzione con eparina. Questa fase iniziale è seguita da una fase di mantenimento a dosi terapeutiche per ciascuno dei farmaci impiegati della durata di 3-6 mesi. Al termine di questo periodo occorre decidere quali pazienti meritino un trattamento esteso e come questo debba effettuarsi.
La durata ottimale del trattamento degli episodi di tromboembolismo venoso è oggetto di discussione e le linee guida internazionali suggeriscono un trattamento prolungato (senza definire una data di sospensione, ma suggerendo rivalutazioni periodiche) nei pazienti che abbiano avuto eventi idiopatici o con fattori di rischio deboli, o comunque in tutte quelle condizioni cliniche che si associno a fattori di rischio permanenti. Tuttavia, la prosecuzione a lungo termine del trattamento anticoagulante aumenta il rischio emorragico e in molti contesti clinici è difficile definire il rapporto rischio/beneficio di un trattamento prolungato.
Una nuova e importante prospettiva nel trattamento a lungo termine del tromboembolismo venoso e nella prevenzione delle recidive è stata offerta dagli studi sui DOAC: è stata dimostrata una riduzione del rischio emorragico rispetto agli AVK e, in particolare, nell’ambito della prevenzione delle recidive di TEV, quando ci si trovi nella condizione clinica della necessità di un prolungamento terapeutico, per due di essi sono stati prodotti studi indirizzati a valutare la efficacia e la sicurezza di somministrazioni a dosaggi adeguatamente ridotti rispetto a quelli terapeutici (studio EINSTEIN EXTENTION ed EINSTEIN CHOISE per il rivaroxaban) (studio AMPLIFY-EXT per apixaban).
Ne è conseguito che le ultime linee guida della European Society of Cardiology sulla terapia e prevenzione della Embolia Polmonare (ESC 2019), dopo la conclusione dei sei mesi di dosaggio terapeutico, raccomandano l’uso di apixaban 2.5 mg b.i.d o di rivaroxaban 10 mg die per i pazienti che presentino un rischio di recidiva.
L’applicazione di questa raccomandazione ha dimostrato una riduzione delle ospedalizzazioni per TEV nel periodo esaminato. Tali studi, aprono una nuova e importante prospettiva terapeutica per quei pazienti colpiti da tromboembolismo venoso e per i quali, dopo il trattamento in fase acuta, si debba decidere se prolungare o meno la terapia anticoagulante per la prevenzione delle recidive. Nella pratica clinica infatti il medico è molto spesso incerto se continuare il trattamento e quindi andare incontro a una possibile complicanza emorragica o sospenderlo ed esporre il paziente al rischio di una recidiva trombotica. I risultati dei trial ci forniscono quindi una nuova efficace opzione terapeutica per trattare a lungo termine e a un dosaggio ridotto quei pazienti per i quali finora non esisteva una chiara indicazione sulla strategia da seguire.
Qualora i pazienti presentassero un rischio troppo elevato e al contempo la necessità di un periodo di estensione della terapia anticoagulante, le stesse linee guida propongono l’uso di sulodexide, già validato per i pazienti intorno alla sesta decade di età (studio SURVET). È in corso un studio per l’impiego di questo farmaco nei pazienti con età maggiore di 75 anni (studio GIASONE).
La disponibilità di trattamenti anticoagulanti a dosi profilattiche di provata efficacia e sicurezza ha indubbiamente rivoluzionato l’orizzonte operativo dei clinici che come noi si occupano della gestione dei pazienti affetti da TEV, dotandoci di uno strumentario terapeutico di cui da sempre sentivamo la necessità.
È opportuno tuttavia ricordare in conclusione che gli studi sui trattamenti estesi arrivano ad 1-2 anni di terapia anticoagulante. Si sente quindi la necessità di ulteriori studi long-life su questo argomento.
A cura del:

Dott. Domenico Piane
Medico Chirurgo, Specialista in Medicina Interna
Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri
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