La Malattia Tromboembolica Venosa (TEV), intesa come Trombosi Venosa Profonda (TVP) e/o Embolia Polmonare (EP), costituisce una delle maggiori complicanze nei pazienti oncologici. E, d’altra parte, i pazienti con una trombosi “idiopatica” hanno un maggior rischio di sviluppare una neoplasia sino ad un anno dall’evento. Nella popolazione generale italiana l’incidenza annuale di TEV è di circa 117 casi ogni 100.000 abitanti (ISTAT – 2018).
I pazienti neoplastici hanno un rischio di sviluppare una TEV tra le 4 e le 7 volte maggiore rispetto alla popolazione generale, e tra il 5 e il 10% di loro incorrono in questa complicanza già nel corso del primo anno dalla diagnosi di neoplasia. Anche il rischio di recidiva di trombosi è più alto nei pazienti con neoplasia rispetto ai pazienti non neoplastici.
Il rischio trombotico è ulteriormente aumentato dalla chemioterapia, specie se in associazione con la terapia antiangiogenica, dall’ormonoterapia, dagli interventi e procedure chirurgiche e dalla presenza di cateteri venosi centrali.
Le complicanze tromboemboliche influenzano significativamente la morbilità e la mortalità della malattia neoplastica cosicché nei pazienti neoplastici la TEV è considerata la seconda causa di morte, dopo la stessa neoplasia.
Da tutte queste considerazioni deriva l’importanza sia di una tempestiva terapia al momento dell’evento trombotico quanto di una appropriata prevenzione dello stesso.
D’altra parte i malati neoplastici sono a volte pazienti ad alto rischio emorragico, per cui la scelta di intraprendere una terapia anticoagulante può risultare complessa e deve tener conto della tipologia del tumore, della localizzazione, della stadiazione ma anche del tipo di terapia antineoplastica usata.
Negli ultimi anni alcuni farmaci Anticoagulanti Orali Diretti (DOAC), anche per la loro facilità di somministrazione, costituiscono un’interessante alternativa. Diversamente dai dicumarolici i DOAC sono caratterizzati da un profilo farmacodinamico prevedibile, per cui non è richiesto un monitoraggio e presentano meno interazioni con farmaci o alimenti.
Rivaroxaban ed Edoxaban hanno dimostrato rispetto alla Dalteparina nei rispettivi trial, il SELECT-D l’HOKUSAI VTE CANCER, un ottimo profilo di efficacia nella prevenzione delle recidive di tromboembolia venosa con un tasso maggiore di sanguinamenti, bassi e per lo più riconducibili a sanguinamenti di tipo gastrointestinale e genitourinario.
Le Linee Guida Europee, in collaborazione con la Società Europea di Pneumologia (ERS), hanno recepito le evidenze dei due trial, suggerendo l’utilizzo di Rivaroxaban e di Edoxaban come alternative all’Eparina a basso peso molecolare nei pazienti con cancro. Più recentemente, lo studio CARAVAGGIO ha anch’esso dimostrato la non inferiorità di Apixaban nei confronti della Dalteparina.
È opportuno sottolineare come le popolazioni dei tre trial, non fossero omogenee a causa dei diversi criteri di arruolamento: lo studio Caravaggio ha escluso quei pazienti che presentavano lesioni cerebrali primarie e metastatiche ma che, invece, erano presenti nel Select-D e nell’Hokusai VTE Cancer, e ha incluso pochi pazienti con tumori del tratto gastrointestinale superiore e tumori ematologici. Non potendo fare quindi un confronto diretto tra gli studi e le rispettive molecole, non è quindi possibile identificare un unico anticoagulante come migliore alternativa rispetto alle EBPM.
Le evidenze scaturite dai trial e le stesse raccomandazioni delle linee guida internazionali, suggeriscono come i DOAC possano essere non solo alternative alle EBPM, ma farmaci di prima scelta nella terapia del tromboembolismo venoso, offrendo vantaggi in termini di maneggevolezza e compliance del paziente. Ricordiamo che la terapia eparinica prevede una somministrazione parenterale che può portare ad una mancata aderenza alla terapia, compromettendo l’efficacia di questo regime terapeutico.
Infatti, la preferenza dei DOAC rispetto alle EBPM non dovrebbe essere unicamente limitata alle sole evidenze legate ai trial registrativi, ma dovrebbe considerare il disagio associato all’utilizzo di EBPM e all’alto tasso di abbandono della terapia parenterale.
Sono ancora scarsamente esplorate le eventuali interazioni farmacologiche tra DOAC e farmaci chemioterapici (soprattutto induttori/inibitori del citocromo CYP3A4 e della glicoproteina P) e non è pienamente dimostrata l’efficacia e la sicurezza dell’impiego dei DOAC in pazienti oncologici con difficoltà di assunzione e/o assorbimento dei farmaci somministrati per via orale.
Alla luce di queste esigenze e per poter quindi fornire una risposta alle molte le domande cliniche insoddisfatte, nasce il programma di studi CALLISTO, nel quale Rivaroxaban è studiato in svariati setting clinici oncologici, dalle interazioni farmacologiche alla soddisfazione dei pazienti e all’aderenza terapeutica; all’interno di questo programma è infatti presente uno studio non interventistico (COSIMO) volto a valutare, mediante l’utilizzo di diverse scale e questionari, il grado di soddisfazione nel passaggio dalla terapia con EBPM a quella con Rivaroxaban. Lo studio ha dimostrato come i pazienti esprimano una chiara preferenza nei confronti della terapia orale rispetto a quella parenterale e che come l’aumento del grado di soddisfazione nei confronti della terapia stessa abbia delle chiare implicazioni positive nell’aderenza e negli outcome clinici.
Nei pazienti neoplastici, a causa della loro condizione di ipercoagulabilità, si consiglia di prolungare oltre i sei mesi la durata della terapia anticoagulante per un episodio di TEV, sia essa condotta con EBPM o con i DOAC. Questa indicazione vale in particolare per i pazienti che hanno avuto una recidiva durante la terapia e in quelli che hanno una malattia neoplastica in fase attiva: cioè diagnosticata o in chemioterapia negli ultimi sei mesi, recidivante oppure con metastasi o infine una patologia oncoematologica non in remissione completa.
I DOAC, rappresentano senza dubbio un’importante opportunità di cura: la prospettiva futura è proprio quella di rendere i DOAC farmaci di prima scelta nel trattamento della trombosi legata al cancro, favorendo l’esperienza clinica in questo delicato contesto.
A cura del:

Dott. Michele Bertini
Dirigente Medico I° livello
Azienda Ospedaliera San Filippo Neri
Unità Operativa di Patologia Clinica
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